Ancora sul referendum: Facciamo due conti!

Il giorno dopo la consultazione popolare sul Dal Molin è una babele di
commenti; sono tanti o son pochi 24 mila cittadini che votano per dire
che futuro vogliono per l’aerea verde a nord della città? Intorno a
questa domanda, spesso in modo strumentale e in alcuni casi con
argomentazioni ridicole, si è concentrato il dibattito di coloro che si
ergono a commentatori.

Il commissario Costa, che evidentemente, oltre che di basi militari,
treni ad alta velocità, paratie marine mobili, se ne intende anche di
sociologia, ha tratto dalla consultazione popolare – che lui stesso ha
definito poche settimane fa antidemocratica – le conclusioni più
stupefacenti: «il 72% dei vicentini – ha dichiarato il portaborse
veneziano – non si oppone alla costruzione della nuova base militare».
Che il commissario Costa abbia passato la domenica in incognito tra le
strade di Vicenza chiedendo ad ogni cittadino che non si è presentato
ai seggi se si oppone al progetto statunitense sembra difficile. È più
probabile che l’uomo dei mille incarichi abbia goduto della splendida
giornata di sole per concedersi un po’ di relax. Beato lui che può,
verrebbe da dire; ma, tornando a questo 72%, la questione è piuttosto
semplice: c’è tanta – troppa – gente abituata a prendere la parola
anche a nome di altri. E Costa è uno di questi, tanto che si sente
legittimato, come annota il Sindaco Variati, «a parlare a nome di chi
non si è espresso». Poco importa se tra i non votanti ci sono
sicuramente i favorevoli alla nuova base statunitense – Roberto
Cattaneo e Enrico Hüllweck non hanno mica votato –, ma anche coloro che
sono indifferenti e soprattutto coloro che non hanno oggettivamente
potuto esprimersi per cause di forza maggiore – per esempio i degenti
dell’ospedale i quali, grazie al Consiglio di Stato che ha annullato la
consultazione ufficiale, non hanno potuto ricevere la visita di una
commissione di seggio –, per mancanza d’informazione o per qualunque
altro motivo. È singolare la democrazia proposta dal commissario
governativo, fondata non sulla realizzazione delle istanze dei
cittadini, bensì sull’interpretazione dell’opinione dei silenti.
Verrebbe da dire, allora, che “chi tace acconsente” e, alla luce del
quesito referendario, che i favorevoli alla nuova base statunitense
sono appena 906 in tutta la città.

Ventiquattromila persone, è evidente, non sono la maggioranza dei
cittadini di Vicenza; ma sono un dato statisticamente ufficiale. Un
campione all’interno del quale è possibile verificare, numeri alla
mano, quanti hanno espresso parere favorevole e quanti parere negativo;
e, nel caso concreto, a Vicenza è successo che il 95,66% dei votanti ha
espresso parere favorevole, chiedendo alla Giunta comunale di acquisire
l’area del Dal Molin. E, del resto, non risulta che il Presidente
statunitense – le coincidenze – si sia mai chiesto se il 60-70% dei
cittadini che non partecipano alle elezioni presidenziali lo sostengono
o lo disapprovano nelle sue politiche. Questo, piaccia o no, è il
meccanismo che sta alla base della democrazia fondata sul voto: chi
partecipa conta uno, chi non partecipa conta zero. Potremmo discutere a
lungo sulla democraticità di questo meccanismo, ma non possiamo mettere
in dubbio il principio che sta alla base di questa formula: chi
partecipa decide. E Vicenza ha deciso.

Del resto, il movimento vicentino ha sempre sostenuto che la vocazione
maggioritaria contro la base militare è evidente nelle dinamiche
pubbliche, nella manifestazioni di piazza, nelle relazioni sociali. E,
a confermare questa evidenza, c’è anche l’altra faccia della medaglia,
rappresentata dai favorevoli alla base i quali, per autorappresentarsi,
sono costretti a parlare di “maggioranza silenziosa” per contrastare
mediaticamente quella maggioranza reale che si esprime nella
quotidianità. Da tante cariche istituzionali e da molti partiti questa
democrazia, fatta di partecipazione diretta e presenza fisica, è stata
definita “antipolitica”, perché slegata dalla delega e dai vincoli che
essa impone all’espressione della cittadinanza. Ieri quella che loro
hanno definito “antipolitica” ha attraversato per un giorno le forme
“accettate” dell’espressione politica; ed è stato un fiume in piena,
perché la partecipazione quotidiana di migliaia di cittadini si è
riversata nelle 32 urne elettorali mettendo nero su bianco non tanto un
sì o un no, quanto la determinazione civica di essere protagonisti
attivi del proprio domani.

Ventiquattro mila, allora, sono tanti; perché queste donne e questi
uomini non hanno semplicemente partecipato a quello che ormai, nella
società contemporanea, è il rituale del voto; non hanno, per dirla in
altre parole, espresso una delega perché qualcun altro risolva questa
questione. Hanno, in un certo senso, espresso una sentenza che, per
essere smentita, avrebbe bisogno di un’altra sentenza: bene ha fatto,
allora, il Sindaco a invitare i partiti favorevoli alla base
statunitensi a organizzare essi stessi una consultazione analoga a
quella di ieri per verificare la consistenza numerica reale dei
favorevoli al progetto statunitense.

Restare silenti è un diritto, naturalmente; ma questo diritto non può
sopraffare la voce di chi, viceversa, vuole esprimersi. Non può farlo
perché il silenzio non è interpretabile e chi tenta di
strumentalizzarne il significato fa un misero gioco politico che non ha
gambe perché, alle spalle, non ha persone. In occasione della
consultazione popolare di Vicenza, dunque, la cittadinanza si è
espressa in questo modo: 23.050 cittadini favorevoli all’acquisizione
dell’area del Dal Molin da parte dell’Amministrazione comunale; 906
contrari. Gli altri silenziosi, perché disinteressati, non informati,
impossibilitati a esprimersi, o per qualunque altra ragione che
riguarda soltanto loro.

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