Appello dalle università

L’ONDA ANOMALA NON SI FERMERA’

Alle facoltà in mobilitazione,
alle studentesse e agli studenti, ai dottorandi, ai precari della ricerca

"Noi la crisi non la paghiamo", è questo lo slogan con
cui poche settimane fa abbiamo iniziato le mobilitazioni all’interno
dell’università la Sapienza. Uno slogan semplice, ma nello stesso tempo
diretto: la crisi globale è crisi del capitalismo stesso, della
speculazione finanziaria e immobiliare, di un sistema senza regole né
diritti, di manager e società senza scrupoli; questa crisi non può
ricadere sulle spalle della formazione, dalla scuola all’università,
della sanità, dei contribuenti in genere. Lo slogan è diventato famoso,
correndo veloce di bocca in bocca, di città in città. Dagli studenti ai
precari, dal mondo del lavoro a quello della ricerca, nessuno vuole
pagare la crisi, nessuno vuole socializzare le perdite, laddove la
ricchezza è stata per anni distribuita tra pochi, pochissimi.
Ed è
proprio il contagio che si è determinato in queste settimane, la
moltiplicazione delle mobilitazioni nelle scuole, nelle università,
nelle città, che deve aver suscitato molta paura. Si sa, il cane che ha
paura morde, altrettanto la reazione del presidente del Consiglio
Berlusconi non si è fatta attendere: "polizia per le università e le
scuole occupate", "faremo fuori la violenza dal paese". Soltanto ieri
Berlusconi aveva dichiarato di voler aumentare i sostegni economici
alle banche e di voler fare dello stato e della spesa pubblica garanti
in ultima istanza per i prestiti alle imprese: in una parola, tagli
alla formazione, meno risorse per gli studenti, tagli alla sanità, ma
soldi alle imprese, alle banche, ai privati. Ci chiediamo allora dove
si trova la violenza: è violenta un’occupazione o piuttosto è violento
un governo che impone la legge 133 e il decreto Gelmini, in barba a
qualsiasi discussione parlamentare? E’ violento il dissenso o chi
intende soffocarlo con la polizia? E’ violento che si mobilita in
difesa dell’università e della scuola pubblica o chi intende
dismetterle per favorire gli interessi economici di pochi? La violenza
sta dalla parte del governo Berlusconi, dall’altra parte, nelle facoltà
o nelle scuole occupate, c’è la gioia e l’indignazione di chi lotte per
il proprio futuro, di chi non accetta di essere messo all’angolo o
costretto al silenzio, di chi vuole essere libero.
Ci è stato detto
che sappiamo soltanto dire no, che non abbiamo proposte. Niente di più
falso: proprio le occupazioni e le assemblee di questi giorni stanno
costruendo una nuova università, un’università fatta di conoscenza, ma
anche di socialità, di sapere ma anche di informazione, di
consapevolezza. Studiare è per noi fondamentale, proprio per questo
riteniamo indispensabili le proteste: occupare per poter far vivere
l’università pubblica, dissentire per poter continuare a studiare o
fare ricerca. Molte cose nell’università e nelle scuole vanno cambiate,
ma una cosa è certa, il cambiamento non passa per il de-finanziamento.
Cambiare l’università significa aumentare le risorse, sostenere la
ricerca, qualificare i processi formativi, garantire la mobilità (dallo
studio alla ricerca, dalla ricerca alla docenza). Il de-finanziamento,
invece, ha un solo scopo: trasformare le università in fondazioni
private, decretare la fine dell’università pubblica.
Il disegno è
chiaro, anche gli strumenti: la legge 133 è stata approvata nel mese
d’agosto, di fronte al dissenso di decine di migliaia di studenti si
invoca l’intervento della polizia. Questo governo vuole distruggere la
democrazia, attraverso la paura, attraverso il terrore. Ma oggi, dalla
Sapienza in mobilitazione e dalle facoltà occupate diciamo che noi non
abbiamo paura e di certo non torneremo indietro sui nostri passi. È
nostra intenzione, piuttosto, far retrocedere il governo: non fermeremo
le lotte fin quando la legge 133 e il decreto Gelmini non verranno
ritirati! E questa volta andiamo fino in fondo, non vogliamo perdere,
non vogliamo abbassare la testa di fronte a tanta arroganza. Per questo
invitiamo tutte le facoltà in mobilitazione del paese a fare la stessa
cosa: vogliono colpire le occupazioni e allora che altre mille scuole e
facoltà occupino!
In più, al seguito dello straordinario successo dello sciopero e delle manifestazioni del 17 ottobre,
indetti dai sindacati di base, riteniamo giunto il momento di dare una
risposta unitaria e coordinata nelle piazze delle nostre città.
Proponiamo di dare vita a due scadenze nazionali: una giornata di mobilitazione per venerdì 7 novembre,
con manifestazioni dislocate in tutte le città; una grande
manifestazione nazionale del mondo della formazione, dall’università
alla scuola, a Roma per venerdì 14 novembre,
giornata in cui i sindacati confederali hanno decretato lo sciopero
dell’università, giornata da costruire dal basso e che veda
protagonisti in primo luogo gli studenti, i ricercatori ed i docenti in
mobilitazione. Altrettanto riteniamo utile attraversare, con le nostre
forme e i nostri contenuti, lo sciopero generale della scuola promosso
dai sindacati confederali fissato per giovedì 30 ottobre.

Quello che sta accadendo in questi giorni ci parla di
una mobilitazione straordinaria, potente, ricca. Una nuova onda,
un’onda anomala che non intende fermarsi e che piuttosto vuole vincere.
Facciamo crescere l’onda, facciamo crescere la voglia di lottare. Ci
vogliono idioti e rassegnati, ma noi siamo intelligenti e in movimento
e la nostra onda andrà lontano!

Dalle facoltà occupate della Sapienza di Roma, dall’ateneo in mobilitazione

 

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